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Sergio Zavoli, la coscienza civile di un Paese. Ciao direttore

Ciao direttore. Si, colleghe e colleghi, Sergio Zavoli ha scritto le pagine più belle del giornalismo radiotelevisivo che hanno fatto la storia del servizio pubblico del nostro Paese.  Voi lo avete ricordato come scrittore, politico, “socialista di Dio”, amico di Federico Fellini. Si, senatore, presidente della commissione parlamentare di vigilanza Rai, presidente Rai, direttore di giornali.
Ma consentitemi se in questa occasione e grande umiltà, proverò a trasmettervi le emozioni che provo oggi nel  tratteggiare una figura così importante per il giornalismo del nostro Paese.
Sergio Zavoli è stato un “testimone privilegiato – come lui stesso scrive nel 2002 sulle pagine di Rassegna sindacale in occasione del quattordicesimo congresso della Cgil- potendo usare uno strumento come la radio prima, e la Tv poi, in mezzo secolo repubblicano è stato testimone privilegiato delle battaglie legate al latifondo, alla difesa del salario, alla difesa delle conquiste operaie contro l’avventurismo brigatista, per fare solo qualche esempio. Dai giorni di Reggio Calabria a quelli di Reggio Emilia, dagli scenari dello stragismo a quelli degli anni di piombo, fino al caso Moro e poi a Ruffilli, a D’Antona”.
Un intellettuale vero, protagonista del giornalismo civile, al servizio del suo Paese.  Per lui la parola era sacra. Aveva un senso altissimo delle istituzioni. Una grande umanità.
Lo ricorderemo per il suo “processo alla tappa” che insegnò un modo nuovo di raccontare lo sport, per la sua “Notte della Repubblica”, per il documentario radiofonico, che oggi noi chiameremmo reportage, sulla “clausura”, o con le interviste televisive nel manicomio di Gorizia con Franco Basaglia e i suoi pazienti dieci anni prima che entrasse in vigore la legge 180 che aboliva i manicomi.
Mi devo fermare qui, pur sapendo di fargli un torto.

SERGIO ZAVOLI, LA COSCIENZA CIVILE DI UN PAESE. CIAO DIRETTORE

SERGIO ZAVOLI, LA COSCIENZA CIVILE DI UN PAESE. CIAO DIRETTORENon credo che ci possano essere eredi. Non esistono eredi. Certo, nella Rai degli anni di Sergio Zavoli sono cresciuti giornalisti con la g maiuscola. Le generazioni successive sono andate oltre a quel modo di far giornalismo. Meglio, peggio? Io so che quando finivo di vedere o di ascoltare un’inchiesta di Sergio Zavoli dicevo: ecco perchè per il servizio pubblico vale la pena pagare il canone. La qualità della democrazia dipende dalla qualità e dalla libertà del giornalismo. Nei tempi delle notti della Repubblica c’era lui, Sergio Zavoli, e tanti altri come lui che hanno acceso i riflettori e fatto crescere la coscienza civile. Ciao, direttore.

Pubblicato da Sandro Ruotolo su Giovedì 6 agosto 2020

Ma quello che mi preme sottolineare in questo momento è la qualità della sua narrazione cinematografica. Rapito dalla bellezza. Era meticoloso, pignolo nel suo lavoro, tutto doveva essere perfetto. In radio come in tv. Ho avuto il privilegio di imparare, non so fino a che punto ci sia riuscito, a fare radio con chi aveva lavorato con lui. Per fare Tv, si diceva un tempo, bisogna saper fare radio. Bisogna leggere senza inflessione dialettale, mi dicevano i tecnici. E dopo pranzo mi costringevano a leggere a voce alta un articolo suggerendomi la pausa, il timbro di voce, la freddezza nel racconto.
Questa era la Rai. Straordinarie professionalità e orgoglio di lavorare per il servizio pubblico.
Tutti ci ricordiamo la voce di Sergio Zavoli, e come se sapeva scrivere… I tagli di luce delle sue interviste, e se c’erano silenzi non erano tempi morti, facevano parte del racconto. La sua non era una Tv urlata ma profonda, d’inchiesta, di approfondimento.
Si dice che il giornalismo di Zavoli non cercasse lo scoop. Ma se non sono scoop le interviste con i terroristi delle Brigate rosse che non si erano pentiti nella Notte della Repubblica, cos’è uno scoop? La sua autorevolezza era garanzia per tutti.
Musiche, immagini, suoni, voce narrante, testimonianze. Asciutto, essenziale, profondo. Le sue inchieste prendevano forma nelle sale di montaggio. Quando c’era l’intervistato in primo piano le sue domande erano con la voce fuori campo. Altri tempi, altro stile.
Era un cronista perché curioso e le sue inchieste erano avvincenti perché  non aveva una tesi precostituita. Che non significa non avere un punto di vista.
Non credo che ci possano essere eredi. Non esistono  eredi. Certo, nella Rai degli anni di Sergio Zavoli sono cresciuti giornalisti con la g maiuscola. Le generazioni successive sono andate oltre a quel modo di far giornalismo. Meglio, peggio? Io so che quando finivo di vedere o di ascoltare un’inchiesta di Sergio Zavoli dicevo: ecco perchè per il servizio pubblico vale la pena pagare il canone.
La qualità della democrazia dipende dalla qualità e dalla libertà del giornalismo. Nei tempi delle notti della Repubblica c’era lui, Sergio Zavoli, e tanti altri come lui che hanno acceso i riflettori e fatto crescere la coscienza civile. Ciao, direttore.
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