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La mia lettera a Repubblica

Che strana campagna elettorale. Io la sto interpretando mettendoci la faccia. Percorrendo quotidianamente le strade dei comuni che formano il collegio elettorale, andando per mercati, incontrando le associazioni, le cittadine e i cittadini ai quali chiedo il voto, raccogliendo criticità e suggerimenti. Non incontro mai però i miei avversari, che agli incontri con gli elettori preferiscono la presenza esclusiva sui social network, o le riunioni con i grandi collettori di voti. Non mi sorprende che campagna elettorale come questa possa indurre a muovere dei rilievi critici.
Come ha fatto con una certa pertinenza Costanza Boccardi su Repubblica Napoli di ieri e prima di lei Massimo VIllone. È vero che di autonomia differenziata, lotta alle mafie e cultura si parla mediamente meno di quanto sarebbe necessario. È però altrettanto vero che ci sono formazioni politiche e candidati, per lo più a destra, che non ne parlano affatto, o danno dell’autonomia una interpretazione positiva, mentre invece questi temi sono più presenti nella coalizione progressista e in altri aggregati politici che si contrappongono alla destra.
Per quanto mi riguarda, la mia campagna elettorale ha come elemento centrale proprio la lotta alla camorra. Non è solo la mia vicenda personale, che mi costringe da otto anni a vivere sotto scorta. Non è nemmeno soltanto una pur indispensabile scelta di natura etica a favore degli oppressi contro gli oppressori. È la semplice constatazione che dove ci sono le mafie non c’è sviluppo.
Dove i territori devono fare i conti con il cancro delle organizzazioni criminali, ci sono diritti negati, precarietà e lavoro nero, lavoratori sottomessi e sfruttati, aziende e piccoli imprenditori strangolati, devastazione ambientale e salute dei cittadini compromessa.
Parlare di lotta alle mafie vuol dire quindi prefigurare un altro modello di sviluppo, una diversa idea di società, liberando le potenzialità di un territorio per favorire e amministrare un’economia del benessere . Ecco perché, soprattutto in certi contesti territoriali, questa è la madre di tutte le battaglie e ha certamente ragione la Boccardi quando parla della necessità di sottrarre manovalanza alla camorra, ma anche e a un livello diverso fare luce su quelle zone grigie dove le mafie si fanno imprenditoria dei colletti bianchi.
Voglio perciò rassicurare Annarita Patriarca, mia avversaria nel collegio uninominale di Torre del Greco per la Camera dei deputati: nelle mie parole sulla sua incandidabilità non c’è nessuna politica dell’odio, ma solo una questione etica.
Le elettrici e gli elettori hanno il pieno diritto di conoscere la verità e lei non ha detto la verità. Infatti, la Patriarca continua a ribadire di essere stata assolta, quando da presidente del consiglio comunale di Gragnano, prima di diventare sindaca, fu indagata per peculato. Invece, quel reato di cui era accusata si è semplicemente estinto per prescrizione. Prescrizione alla quale ha ritenuto opportuno non rinunciare, come avrei fatto invece io nei suoi panni per fare piena chiarezza sui fatti.
Mentire infrange il vincolo morale con gli elettori chiamati a scegliere chi li rappresenterà in parlamento. È a questa questione etica che faccio riferimento, quando dico che il suo partito non avrebbe dovuto candidarla. Non alle vicende giudiziarie di suo padre e suo marito, o al suo testimone di nozze e mentore politico, tutti condannati per camorra, ma esclusivamente alle vicende che la riguardano. Per esempio, quando da sindaca di Gragnano il comune è stato sciolto per infiltrazioni della camorra.
Ma non sono solo le mafie a determinare il sottosviluppo di un territorio. Anche la cattiva politica e le leggi sbagliate che fanno l’interesse di una sola parte del paese contribuiscono a determinare il ritardo e l’arretratezza. Esiste sin dalla nascita dell’Italia unita una questione meridionale. Uno squilibrio che sembrava in via di riduzione nei primi anni Settanta e che invece è tornato a crescere negli ultimi trenta. Un sud che è l’area economicamente più depressa d’Europa a una distanza enorme dalle regioni del nord.
Una differenza così aspra e intollerabile che l’Unione Europea ha destinato il 40% delle risorse del Pnrr alle nostre regioni. L’autonomia differenziata va invece esattamente in direzione opposta, rispetto al tentativo di riequilibrio messo in campo dall’Europa. Non bastano i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, che pur sono un passo avanti. Non basterà il solo Pnrr, insufficiente per i principali istituti di ricerca a colmare il gap.
È per questo che da candidato a rappresentare un pezzo rilevante del nostro territorio non potrei non parlare dell’autonomia differenziata, chiarendo la mia avversità. Dovrebbero farlo tutti i candidati del sud e quelli di ogni regione, consapevoli che l’Italia riparte solo se il sud rialza la testa.
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Sandro Ruotolo

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