Due milioni di meridionali sono emigrati

Negli ultimi venti anni, oltre due milioni di meridionali sono emigrati al nord o all’estero. Secondo i dati diffusi dall’Istat, solo dal 2013 al 2020 il sud ha perso quasi un milione di abitanti: da poco più di 20,9 milioni a 19,96 milioni. Secondo lo Svimez, se la tendenza non dovesse subire delle variazioni, entro il 2065 la perdita netta di popolazione raggiungerebbe i 5 milioni. Per dirla con altre parole, oltre un abitante su quattro. Una catastrofe demografica.
La metà di quelli che emigrano è giovane e un terzo è laureato. Non perdiamo quindi popolazione soltanto in termini assoluti, ma anche sul piano qualitativo. Più specificamente, i giovani che si formano nelle nostre università – con i costi di questa formazione che ricadono in larga parte sulle comunità locali – accedono solo in minima parte al mercato del lavoro meridionale, mentre spendono altrove le competenze acquisite. Ma non solo, perché un altro fenomeno preoccupante è costituito dall’emigrazione per motivi di studio.
Nel 2020, su 685.000 studenti universitari meridionali in Italia, ben un quarto aveva scelto università del centro-nord. È quindi un’emigrazione diversa da quella che l’hanno preceduta, caratterizzata da un alto livello di qualificazione di chi se ne va. Se ne va quella parte della popolazione che ha più possibilità di competere nel mercato del lavoro dei luoghi di destinazione. Un fenomeno che nello specifico del nostro contesto territoriale determina due conseguenze: l’insufficienza di buona parte degli enti territoriali sul piano della progettazione – strumento invece indispensabile per intercettare tanto i finanziamenti europei strutturali che i fondi del Pnrr -, l’altissimo numero di Neet, giovani che non studiano e non lavorano, fra quelli che restano.
A fronte di una media nazionale di Neet fino a 29 anni del 23 per cento, la Campania raggiunge la percentuale record del 34,1 per cento. Pesano ovviamente l’abbandono scolastico, la formazione insufficiente, la ristrettezza del mercato del lavoro e varie altre concause congiunturali come l’inflazione e il caro bollette che stanno mettendo alle corde un tessuto socioeconomico già strutturalmente fragile.
Le ragioni che ho elencato per esigenza di brevità fin troppo sommariamente spiegano con efficacia il paradosso del dibattito politico sui flussi migratori. Ogni volta che al sud parliamo di immigrazione come “emergenza nazionale” stiamo semplicemente dimenticando che ci sono più emigrati che immigrati, che negli ultimi venti anni due milioni di meridionali sono andati via, per un terzo proprio dalla Campania. Qualcosa come 178 persone che in media ogni giorno hanno lasciato i propri luoghi di origine e le loro famiglie. Nostri figli, sorelle, fratelli, che rivediamo ormai solo durante le feste. Nostri figli, sorelle e fratelli che non solo ci mancano, ma dei quali la nostra terra avrebbe un enorme bisogno.
Bisogna perciò riportare queste competenze al sud, dobbiamo evitare che altri se ne vadano e perché questo sia possibile dobbiamo creare lavoro vero. Basta stage non pagati, incentiviamo il primo lavoro con tutte le forme di agevolazione possibili. Così come va favorito l’accesso di questa forza-lavoro giovane e qualificata nella pubblica amministrazione con lo scopo di attuare finalmente la transizione digitale. Migliorare la capacità di scrivere progetti da parte degli enti pubblici per intercettare risorse ed evitare che vadano sprecate. Garantire più efficienza ai servizi erogati ai cittadini. Richiamare e trattenere i giovani che possono cambiare il destino della nostra terra.
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